San Marino, Assoluzione Filippini, ecco le motivazioni della sentenza

San Marino, Assoluzione Filippini, ecco le motivazioni della sentenza

L’informazione di San Marino

Il giudice attesta anche che quanto scritto nel post “incriminato” era riferito “ad una vicenda realmente accaduta” 

Assoluzione Filippini, ecco le motivazioni della sentenza 

Antonio Fabbri

Assoluzione di Carlo Filippini per non punibilità dopo una querela e una vicenda giudiziaria durata tre anni per un post e una discussione su facebook. Una sentenza che potrebbe creare un importante precedente per molte persone colpite da denunce ritenute ingiuste.

Contesta ovviamente la decisione, l’avvocato del denunciante Marco Severini, Achille Campagna. Commenta il legale di non condividere la scelta del giudice che gli ha dato torto. Scelta “di avvalersi di una previsione normativa che in effetti gli attribuisce un quantum di discrezionalità notevole, estranea a qualsiasi altra area del diritto penale”, secondo Campagna.

“Ho tentato una ricerca sommaria – nella giurisprudenza sammarinese – di precedenti casi di applicazione dell’art.186 c.p., comma 1°, senza trovare alcun precedente – prosegue l’avvocato Campagna – che rispecchiasse le caratteristiche del caso di specie, quindi il caso rappresenta una forma di applicazione sporadica, se non unica, della norma e del potere discrezionale che da essa discende”.

A ben vedere, al di là della posizione di parte espressa dall’avvocato Campagna, una lettura completa della sentenza di appello conferma anche – oltre alla riscontrata “ritorsione” del Severini, seguita alla affermazione di Filippini – che quanto scritto nel post “incriminato” era riferito “ad una vicenda realmente accaduta”. Attesta poi che a questo era seguita la reazione del Severini “riversando sull’imputato accuse, offese, insinuazioni di pari gravità e nello stesso contesto di spazio, di tempo e di persone in grado di percepirle”. Posizioni sostenute in più occasioni nel corso del processo dal difensore di Filippini, l’avvocato Enrico Carattoni. Si legge precisamente nella sentenza di appello del giudice David Brunelli, che ribalta quindi sia il decreto penale che la sentenza di primo grado, oltre alle pretese della parte civile:

“Con particolare riguardo all’accusa di aver “offerto corruzione”, di cui parla il capo di imputazione e che la sentenza appellata qualifica come fatto di ingiuria, non scriminato dal diritto di cronaca o di critica, seppur riferito ad una vicenda realmente accaduta, risulta che il Severini abbia da subito compreso che il Filippini si riferiva ad un procedimento penale conclusosi con un’archiviazione, poiché i due contendenti discutono di seguito sulla valenza probatoria di un provvedimento del Giudice inquirente che esclude il dolo ma non il fatto obiettivo a carico del Severini, realmente accusato di aver offerto denaro ad un appartenente della Polizia civile (Filippini: «Si sbaglia, legga bene. E’ stato archiviato, ma non perché il fatto non sussiste. Il fatto sussisteva, sia nella tentata corruzione sia nelle false dichiarazioni»; Severini: «sa benissimo che non è così. Comunque vedremo cosa deciderà il giudice per questa ulteriore diffamazione»)”.

E il Giudice ha deciso, tanto che, prosegue: “Da questo punto di vista, non si condivide quanto osservato nella sentenza appellata, che sostiene che è come se il Filippini avesse attribuito al Severini l’epiteto generico di “corruttore” (p. 6). L’imputato, invero, intendeva riferirsi ad un preciso procedimento penale e la persona offesa ha perfettamente inteso tale riferimento (…).

A fronte di tali elementi l’indubbia circostanza che sia stato il Filippini ad iniziare l’alterco non assume un rilievo dirimente, dal momento che, da un lato, l’imputato ha pronunciato un’offesa relativa ad un fatto concreto, percepito subito come tale dall’offeso che è stato in grado di difendersi dall’accusa, d’altro lato, lo stesso ha reagito riversando sull’imputato accuse, offese, insinuazioni di pari gravità e nello stesso contesto di spazio, di tempo e di persone in grado di percepirle. La vicenda, nel suo complesso, realizza tutti gli estremi che rendono opportuna la declaratoria di non punibilità dell’imputato, ai sensi dell’art. 186, comma 1, c.p., in presenza di «offese reciproche in unico contesto di azione». Invero, la reazione del Severini, dopo che l’imputato ha scritto l’iniziale frase offensiva, denota vis polemica e spavalderia, quasi che egli, lungi dal subire un affronto lesivo del proprio onore, abbia colto al volo l’occasione per rovesciare sul conto del rivale una serie di accuse e la prospettiva, ben presto palesata all’interlocutore, di lucrare un risarcimento del danno”. Prospettiva lucrativa che non si è realizzata, perché l’assoluzione data dalla non punibilità per avvenuta ritorsione “prevale rispetto alla declaratoria di estinzione per prescrizione del reato, anche in relazione alle conseguenze civilistiche che ne discendono”.

 

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